Perché la notte è buia? Il paradosso di Olbers
Si continua parlando di paradossi. La domanda di oggi è: perché la notte è buia? Se l’universo è praticamente infinito, se ci sono stelle ovunque da chissà quanti miliardi di anni, allora perché la luce di queste stelle, seppur debole, non arriva a noi illuminando in modo omogeneo anche il cielo notturno? Perché la notte è quindi così buia? Questa è il paradosso di Olbers.
Il signor Olbers è stato un astronomo tedesco del 1800. Il paradosso prese il suo nome poiché lui lo formalizzò. In realtà, già Keplero e altri si arrovellavano, ben prima di Olbers, su questa domanda.
Seppur apparentemente stupida come domanda, la risposta definitiva ad essa è arrivata non prima del 1929. All’epoca di Olbers l’universo era ritenuto essere infinito, eterno e non c’erano ragioni per cui non immaginare stelle distribuite in modo omogeneo ovunque. Questi sono i presupposti che necessariamente, se messi insieme, portano ad avere una notte illuminata a giorno. Puntando il nostro sguardo ovunque nel cielo dovremmo intercettare la luce di qualche stella, che seppur molto lontana, con tempi lunghissimi, avrebbe dovuto comunque arrivare sulla Terra. Ma se la notte è buia, allora, necessariamente, o c’è almeno uno di questi presupposti ad essere errato, o non stiamo considerando un qualche altro fenomeno.
Nel 1916 Albert Einstein elabora e pubblica la sua teoria della relatività generale: un’opera d’arte della fisica moderna, di cui non parleremo oggi. Dalle sue formule, che spiegano come agisce la gravità, emerge una descrizione di uno strano universo in continua espansione. Come se fosse un panettone in levitazione. Per Einstein l’idea era assurda e quindi aggiunge alle sue equazioni una costante “cosmologica” in grado di bloccare questo universo per renderlo definitivamente statico; in accordo con le teorie cosmologiche in auge nei suoi anni.
Qualche anno più tardi Edwin Hubble, dall’osservatorio di Monte Wilson, poco distante da Pasadena in California, inizia ad occuparsi della misurazione delle distanze di numerose “nebulose a spirali”. Dalle misure Hubble si rese presto conto che queste “nebulose” non potevano assolutamente essere nebulose della nostra galassia ma che in realtà si trattava di numerose galassie, al di fuori della nostra, e sparse nell’universo. In qualche anno la concezione dell’universo viene quindi stravolta: se fino agli anni 20’ tutto l’universo era la nostra Via Lattea, l’universo descritto negli anni a venire è un bestione di dimensioni ben più grandi, ricco di galassie sparse qua e là in modo omogeneo. Lo stesso Hubble però si rende conto che le galassie che erano più lontane tendevano tutte verso una colorazione rossa: più queste erano lontane e più sembravano rosse. Questo voleva dire che, molto stranamente, più le galassie erano lontane da noi e più queste si stavano allontanando velocemente da noi stessi. Infatti, per effetto Doppler, come quando passa un’ambulanza e quando si allontana la sua sirena ci sembra suonare un suono più grave, così con la luce, qualunque oggetto in allontanamento vira verso tonalità di colore a frequenze più basse e cioè verso il rosso.
Dedicherò un articolo appositamente su questo tema, ma a causa di questo arrossamento cosmico, si dedusse che l’universo non era assolutamente un qualcosa di statico, ma un essere animato in continua espansione. Lo spazio tra una galassia e l’altra è sempre in continua “generazione” e quindi le galassie, tranne quelle proprio vicine vicine, si allontanano inesorabilmente le une dalle altre.
È proprio a causa di questa espansione, di questo allontanamento, e dell’effetto Doppler, che noi possiamo goderci dei bellissimi cieli stellati. La luce delle stelle più lontane non la vediamo la notte perché la loro luce, pur partendo bianca all’origine, arriva a noi “rossa”. E se queste galassie sono ancora più lontane, il loro rosso si fa così cupo da essere invisibile ai nostri occhi: dal rosso come lo intendiamo, la luce degli oggetti lontanissimi ci arriva nella banda dell’infrarosso, se ancor più lontani nelle microonde, frequenze alle quali il nostro occhio non è sensibile.
Ed Einstein? Riconoscendo la validità dei dati di Hubble, elimina (per poi modificarla nuovamente) la costante cosmologica dalle sue formule che quindi, ancora una volta, si erano dimostrate corrette fin dall’inizio ed in grado di predire fenomeni verificati solo numerosi anni dopo. Einstein disse di quella costante che inchiodava di fatto l’universo: “Fu questo l’errore più grande della mia vita.”.
Quindi, seppur fosse infinito ed eterno, cosa che oggi sappiamo essere falsa, basterebbe che l’universo fosse in espansione, come dimostrato da Hubble, per salvare le nostre notti stellate…. Sempre se stupidamente qualche razza intelligente non arriva decidendo di illuminare con luci artificiali la notte distruggendo così, con l’inquinamento luminoso, uno degli spettacoli più belli che la Natura aveva destinato a noi.
Cieli sereni e stellati!!
Articolo a cura di Andrea Alimenti