A Good Man Goes to War: Recensione del debut album “The sound of large crowd”
Gli A Good Man Goes to War nascono a Torino nel 2019 dall’idea di Flavio Amelotti e Fabrizio Paglia, che sono riusciti ad unire i loro percorsi dopo molti anni passati a suonare in gruppi diversi. La loro esperienza decennale in band come Mainline e Never Ending Apnea ci fa capire perché questo progetto sia un qualcosa di veramente interessante. Il nome deriva da una puntata della serie televisiva Doctor Who che li ha ispirati per il forte contrasto emotivo che esprime il titolo stesso, “Un uomo buono va in guerra”. La loro musica è senza regole o “canoni” di genere, basta ascoltare il loro debut album “The sound of large crowd” (uscito il 27 aprile) per capire che il loro post rock non è uguale a quello che conosciamo. In tutte le tracce troviamo atmosfere cinematografiche che ci fanno entrare in un altro mondo stimolando la nostra immaginazione visiva, infatti, le loro passioni per il cinema e la fotografia sono state molto utili nella stesura delle canzoni. Nonostante non ci sia una linea vocale nei brani, riescono a trasmetterci immagini, colori e sensazioni tramite la musica creando un suono che descrive le emozioni quando “le parole non bastano”.
“The sound of large crowd” track by trac
Improvising: Essendo la prima traccia sembra quasi voglia darci il “benvenuto”. Dalle prime note capiamo che potrebbe essere tranquillamente la soundtrack di un film fantasy o di avventura.
Reflections: Se chiudiamo gli occhi dall’inizio sembra quasi di trovarci in una scena di Jurassic Park, le immagini che ci regala sono tantissime.
All the best memories: Già dal titolo possiamo immaginare cosa vuole trasmetterci. Tutti abbiamo dei ricordi che ci accompagneranno per sempre ma solo i migliori potranno aiutarci nei momenti difficili e questa canzone rappresenta al meglio il concetto.
The bravest moment: Il 14 luglio è uscito il video di questo pezzo. La cosa interessante è che non viene mai inquadrato il luogo in cui si trovano Flavio e Fabrizio, infatti le riprese si concentrano sugli strumenti suonati anch’essi coperti da un velo di mistero grazie al fumo che li circonda. Penso che “grazie” a questo nonostante sia un video, l’ascoltatore riesca a viaggiare con la mente e creare delle immagini personali da associare al brano.
This cold white sky: Ci catapulta in una giornata invernale, e in 6 minuti riesce a farci sentire freddo nonostante siamo in piena estate.
You have to leave something behind: La cosa che ho provato al primo ascolto è stata nostalgia. La nostalgia è una delle emozioni più belle e brutte allo stesso tempo, perché lasciarsi qualcosa alle spalle può essere una liberazione ma anche una perdita che può far male negli anni. Penso che siano riusciti a “impersonificare” quest’emozione grazie alla musica.
Lifeless architecture: A differenza della prima traccia, quest’ultima sembra voglia darci un saluto. Alla fine infatti il suono va pian piano a scomparire, determinando così la fine di un album che vale la pena ascoltare e riascoltare perché, come la lettura di un libro, riesce a stimolare al 100% l’immaginazione delle persone.
Articolo a cura di Martina Nardoni