RECENSIONE IT
Ottobre 1988. Il piccolo Georgie sta giocando con una barchetta di carta fatta dal fratello Bill; accidentalmente, questa finisce in uno scarico fognario. Scrutando nel buio, si accorge che nello scarico vi è un uomo vestito da clown. Georgie scopre che il nome di quest’ultimo è Pennywise, il “clown ballerino”; per riavere la barchetta che Pennywise ha tra le mani, il bambino si sporge allungando il braccio, intimorito dall’eventuale ira del fratello maggiore, una volta tornato a casa senza di essa. Il clown lo morde all’arto, mutilandolo, dopodiché lo trascina con sé nella fogna.
Questo è l’incipit di uno dei film più attesi dell’anno: “It” di Andrès Muschietti, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, pubblicato nel 1986 e considerato il capolavoro per eccellenza dello scrittore statunitense.
Il regista argentino viene da un esordio ottimo, grazie ad uno degli horror più interessanti degli ultimi anni: “Mama” o “La madre”(2013), pellicola prodotta da Guillermo del Toro, caratterizzata da interessanti tinte gothic che accompagnano lo spettatore attraverso una storia triste ed atipica, diretta con maestria e che regala momenti di vera tensione anche senza scadere nei classici jumpscare ormai tanto odiati dai veri appassionati dell’horror.
Uscito più di un mese fa negli Stati Uniti, “It” ha sbancato al botteghino, diventando il film horror R-rated ad aver incassato di più nella storia degli USA, ed è stato accolto positivamente dalla critica, aumentando inevitabilmente le aspettative di noi abitanti del “bel paese”, che per settimane abbiamo dovuto evitare con cura la pioggia di spoiler che ha completamente allagato il web.
Il film ci catapulta subito in casa di uno dei protagonisti, Bill Denbrough (un credibile Jaeden Lieberher), che regala una barchetta di carta al suo fratellino Georgie, per farlo giocare.
Come spiegato precedentemente “It”, nelle vesti del clown Pennywise, farà sparire Georgie, dando inizio ad un nuovo ciclo di uccisioni, che si scoprirà avvenire ogni 27 anni. Infatti Pennywise è solo una delle tante forme del demone “It”, che assume le sembianze di ciò che fa più paura alla sua vittima e si nutre di carne umana per poter sostenere il suo trentennale letargo.
Il resto del film si concentrerà sulla ricerca del fratellino da parte di Bill e del suo gruppo di amici, con un contorno molto sfaccettato in cui vengono analizzati più o meno approfonditamente i temi del bullismo, della violenza domestica, delle conseguenze dei traumi infantili e della profonda amicizia come arma per affrontare anche i problemi più insormontabili, offrendo spunti per una moltitudine di altre tematiche (di fatto è uno dei pregi assoluti del libro).
Il filtro utilizzato è indubbiamente meno oscuro rispetto a quello de “La madre”, con dei momenti in cui comunque vira verso tonalità quasi sulfuree, regalandoci una fotografia a tratti memorabile ed orrorifica, e sequenze abbastanza disturbanti ma probabilmente meno pesanti di quanto ci sia stato preannunciato dalle opinioni d’Oltreoceano.
Bill Skarsgard è un “It” meno ambiguo di quello di Tim Curry, che ha interpretato lo stesso ruolo nella miniserie televisiva del 1990, ed anche a livello estetico è più dichiaratamente malvagio. Questa è già una presa di posizione forte da parte del regista e dei suoi collaboratori, che hanno scelto di fare un film horror a tutti gli effetti, in cui ci sono scene di violenza ai danni di giovanissimi protagonisti.
La caratterizzazione di questi è di qualità altalenante: se Bill e Beverly (interpretata da Sophia Lillis, che risulta essere l’attrice più in parte) sono personaggi dotati di carisma, coraggiosi e ricchi di quei valori di cui la città in cui abitano è irrimediabilmente priva, gli altri risultano spiacevolmente superficiali, vista la mole di pagine scritta da King per renderli unici e riconoscibili.
La prima mezz’ora di film è proprio volta a presentarci i componenti del Club dei Perdenti, con le loro paure, le loro fragilità, ma anche i loro pregi, i quali saranno molto utili nella lotta contro il temibile nemico. Non è da nascondere però una struttura veramente troppo lineare utilizzata per questa presentazione, ed è un peccato perché il film, superato questo momento di monotonia, è in grado di intrattenere, spaventare ed anche divertire (nonostante i suoi 135 minuti di durata).
La regia ci offre sequenze molto suggestive, rendendo facilmente comprensibili anche le scene più caotiche e movimentate, prendendosi i suoi tempi invece per le più statiche in cui fa da protagonista lo sguardo strabico di Pennywise. Si avverte però, una CGI forse troppo invasiva e non sempre al top (menzione particolare per l’aggressione di inizio film ai danni di Georgie) e questo va ad intaccare la bellezza visiva dell’opera che raggiunge il suo apice soprattutto negli ultimi minuti in cui alcune scene sono davvero mozzafiato.
Da sottolineare una colonna sonora in grado di accarezzare le orecchie nei momenti più dolci o più tristi, e di sfondare i timpani soprattutto nel momento del jumpscare. Questa tecnica è utilizzata di frequente nel film, e nonostante Muschietti sia capace di gestirla al meglio, c’è da dire che è veramente l’unica fonte di spavento presente. Non prendendo in considerazione gli sfortunati che soffrono di coulrofobia (se lo vedete è probabile che non dormirete per settimane), chi va al cinema aspettandosi di rimanere terrorizzato non avrà quello che cerca. Sicuramente la pellicola risulta inquietante e gli jumpscare ci permetteranno anche di fare qualche salto sulla poltrona, ma è la natura stessa dell’antagonista del Club dei Perdenti (che comunque per la maggior parte del lungometraggio mantiene le sembianze del “clown ballerino”) a renderlo meno terrificante di personaggi come Bughuul (“Sinister” 2012) o di Bathsheba (“The Conjuring” 2013).
Questo “It” però, come il libro, non va considerato solo per la sua capacità di spaventare, ma anche per la capacità di emozionare lo spettatore. “It” è anche la storia di un ragazzo bullizzato, o di uno che non riesce a sopportare la scomparsa del fratello, o di uno con la madre esageratamente apprensiva; “It” è soprattutto il racconto di più storie intrecciate, in cui l’amicizia è una boccata d’aria in una città (Derry, città fittizia nel Maine) che più di altre, sottopone gli abitanti ad una selezione naturale che non è solo causata dal demone che dà il titolo all’opera, ma anche da demoni che non hanno nulla di soprannaturale, che non colpiscono ogni 27 anni, ma che torturano molte persone nel mondo tutti i giorni; questi non ti rapiscono quando sei solo sotto una fitta pioggia mentre stai inseguendo una barchetta di carta, ma ti feriscono davanti a molte persone che preferiscono far finta di non guardare, sentire o vedere, o magari ti aggrediscono tra le mura di casa, dove ci si aspetta protezione dalla crudeltà del mondo esterno.
Sconfiggere It non è solo liberarsi di un essere crudele che si nutre di bambini, ma è imparare ad affrontare i mostri con cui i Perdenti si dovranno confrontare nei 27 anni in cui lui non ci sarà.
VOTO: 7
Articolo a cura di Vittorio Cecere