RECENSIONE LA FORMA DELL’ACQUA

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La storia di Elisa Esposito è ambientata nell’America degli anni ’60 in piena Guerra Fredda, periodo in cui gli Stati Uniti sono all’apice del loro potere economico e si trovano impegnati in uno scontro a distanza con i russi combattuto a suon di scoperte ed innovazioni.

La giovane donna è affetta da mutismo e vive una vita da emarginata insieme al suo vicino Giles, gay costretto a nascondere le sue tendenze sessuali dalla società xenofoba e bigotta.

Elisa lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo, avendo rapporti esclusivamente con la collega Zelda Fuller e condividendo con lei una routine monotona e alienante, come ci fa intuire Del Toro grazie al montaggio rapido e ripetitivo delle giornate che trascorrono una dopo l’altra, uggiose ed apatiche.

Un giorno al laboratorio, il colonnello Strickland porta una cisterna contenente una creatura anfibia con sembianze umanoidi; Elisa, affascinata da essa, cercherà di avvicinarcisi prima fisicamente, poi emotivamente.

Film attesissimo, La Forma dell’Acqua (The Shape of Water) arriva da noi “penisolani” accompagnato da 2 Golden Globes vinti (Miglior regista a Guillermo del Toro e Miglior colonna sonora originale) e 13 nominations agli Oscar, che verranno assegnati il 4 marzo.

Come per “Crimson Peak” (2015), del Toro sceglie di costruire una trama semplice anche per questo “La Forma dell’Acqua”, non concentrandosi sulla complessità dell’intreccio, ma su come esso viene rappresentato e su come viene trasmesso il messaggio filmico allo spettatore.

Il film comincia con un poetico piano sequenza sott’acqua (in realtà, sul set dell’acqua non ce n’era neanche l’ombra almeno per questa scena) che percorre il corridoio dell’edificio in cui si trovano gli appartamenti di Giles ed Elisa, entrando nell’abitazione di quest’ultima dove tutto è sospeso e galleggiante, compresa lei ed il divano letto su cui dorme. La colonna sonora di Alexandre Desplat accompagna dolcemente le immagini, amplificando la sensazione di essere sospesi in un liquido.

La cura per i dettagli che abbiamo ammirato in questi primi secondi verrà mantenuta per tutta la durata della pellicola, facendo delle riprese statiche dei veri e propri quadri.

Capiremo subito che non si sta assistendo ad una “favola per bambini”; la componente erotica nella vicenda risalta spesso tramite le immagini e i dialoghi tra i personaggi. In più il regista messicano, come in tutte le sue opere, non disdegna l’inserimento di scene particolarmente crude e violente.

Quindi non solo favola romantica, ma anche film drammatico e fantasy calato tra eventi storici realmente accaduti con influenze provenienti addirittura dal musical.

Il cast è semplicemente perfetto, valorizzato da una grande sceneggiatura che in meno di 120 minuti delinea almeno quattro personaggi complessi e completi, oltre che molto diversi tra loro.

Sally Hawkins interpreta la dolce Elisa, donna privata della parola ma non della capacità di esprimersi, percepita dalla maggior parte delle persone come mancante di qualcosa di indispensabile ma, in realtà, dotata di un’incredibile carisma e coraggio. 

La Hawkins gestisce il personaggio con incredibile bravura, comunicando con lo sguardo una moltitudine di sfumature caratteriali e riuscendo a caricare di elegante erotismo la sua figura, tutt’altro che perfetta fisicamente, ma affascinante e profonda mentalmente.

Ad affiancarla ci saranno Richard Jenkins (Giles) ed Octavia Spencer (Zelda Fuller), eccellenti comprimari che non andranno ad oscurare la protagonista, ma contribuiranno a lanciare a chi guarda una serie di messaggi “collaterali” che si andranno ad aggiungere a quello dell’emarginazione sociale ed al discorso politico che del Toro porta avanti sottotraccia, senza che esso risulti pesante o noioso.

La personalità del villain, il colonnello Richard Strickland interpretato da un cattivissimo Michael Shannon, è figlia del periodo storico in cui è ambientato il film; ossessionato dalla carriera lavorativa, privo di scrupoli nel perseguire i suoi obbiettivi, maschilista, devoto al culto di se stesso ed a tutto ciò che renda un uomo virile e degno di rispetto e stima.

Sovrastando tutti con il suo metro e novantadue, il personaggio di Michael Shannon guarda gli altri dall’alto in basso, seppellendo chi lo circonda con un’egocentrica e cinica ombra e portando avanti il suo lavoro con inossidabile ottimismo, il che lo rende incredibilmente produttivo ed efficace.

Doug Jones prende parte anche a questo lavoro di Guillermo del Toro (dopo “Mimic”, “Hellboy”, “Il labirinto del fauno” e “Crimson Peak”), vestendo una tuta di gomma ed interpretando l’anfibio umanoide.

La scelta di non creare un’essere in CGI rende l’interazione tra i personaggi molto più naturale; il toccare la creatura e sentirne la presenza, le squame, il battito cardiaco sotto la pelle, sono dettagli su cui il regista si concentra più di qualche volta durante il lungometraggio; in questo modo, ogni reazione fisica od emotiva nei confronti del “mostro” risulta credibile e verosimile.

Se dal punto di vista visivo e registico “La Forma dell’Acqua” è un capolavoro, nel complesso non ci troviamo di fronte ad un film perfetto.

Sicuramente la trama non è tra le più originali e, come in tutte le favole, capita che accadano cose talmente inverosimili da poter far storcere il naso alle persone più pragmatiche.

Infine, la costruzione del rapporto tra Elisa e la “creatura” si mostra, in qualche frangente, troppo frettoloso, impedendoci di vivere il loro avvicinamento come una vera e propria conquista.

P.S. Grande performance anche da parte di Michael Stuhlbarg (“Chiamami col tuo nome” e “The Post”) che qui interpreta il dottor Robert Hoffstetler.

VOTO: 8 

Articolo a cura di Vittorio Cecere

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