RECENSIONE CHIAMAMI COL TUO NOME
“Chiamami col tuo nome” è l’ultimo film della “trilogia del desiderio” di Luca Guadagnino ed è un adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Andrè Aciman.
Elio Perlman è un diciassettenne ebreo italoamericano che vive nella campagna cremasca con i suoi genitori. L’arrivo dell’ennesimo studente straniero ospitato dal padre, professore di archeologia, porterà scompiglio nella sua giovane mente.
Elio è particolarmente introverso e studioso, cosicché gli risulta molto difficile trovare punti in comune con il carattere esuberante ed a tratti invadente del ventiquattrenne americano Oliver; tuttavia, lo sviluppo del loro rapporto riserverà più di qualche sorpresa.
Di certo meno conosciuto in Italia rispetto al collega Gabriele Muccino, Luca Guadagnino ha almeno il merito di non affidarsi al luogo comune per affrontare i temi dei suoi film soprattutto se, come in questo caso, sono complessi e spinosi.
Sin dall’inizio, la pellicola permette di calarci nella vita dei componenti della famiglia Perlman, narrandone le vacanze estive e facendo della loro semplice esistenza il cuore della trama e dello sviluppo della vicenda.
I personaggi vengono delineati grazie alle interazioni che essi hanno con il vero protagonista della storia, Elio, che verrà seguito costantemente dal regista; tutto ciò che entrerà a far parte della sua esperienza estiva diventerà indispensabile per la narrazione, oggetti o persone che siano.
L’assenza di una trama ben precisa nella prima parte del film, nonostante una sceneggiatura che punta a disegnare relazioni familiari credibili e realistiche, potrebbe annoiare o lasciare disorientato più di qualche spettatore. Ma se si riesce a metabolizzare la lentezza con cui vengono costruite le basi dell’opera, ci si accorgerà che la straordinaria seconda parte non sarebbe potuta esistere senza il lungo e riflessivo preambolo.
La costruzione del rapporto tra i due ragazzi non è per niente scontata, alternando momenti di allontanamento ed indifferenza ad imprevedibili attimi d’intesa e complicità. Il loro cuore va ben più veloce della ragione; tutte le sfaccettature e le contraddizioni che possono emergere dalla personalità ancora instabile di giovani uomini vengono analizzate con incredibile cura, ma anche con la massima delicatezza.
Guadagnino non omette nulla, girando sequenze anche particolarmente forti senza scadere mai nella volgarità.
La sceneggiatura, scritta da James Ivory, è arricchita da numerosi dialoghi pregni di significato che culminano nello straordinario monologo finale del Signor Perlman, interpretato da Michael Stuhlbarg.
La coppia Timothée Chalamet (Elio)-Armie Hammer (Oliver) è il fiore all’occhiello della pellicola.
il primo, candidato anche all’Oscar, interpreta un ruolo difficilissimo, portando alla luce le pesanti insicurezze di Elio, alla scoperta di una parte sconosciuta di sé e della sua sessualità. Non viene presentato un ragazzo perfetto in grado di far fronte al suo “problema” con immediatezza, ma comprensibilmente confuso, volubile, a tratti egoista, incapace di stare al passo con le sue reazioni fisiche ed emotive.
Armie Hammer, d’altro canto, veste i panni di un ragazzo molto sicuro di sé, incredibilmente bello ed intelligente, che ad un primo sguardo lascia trasparire un alone di superficialità e superbia a protezione, però, di un animo complesso e sensibile.
La colonna sonora accompagna con efficacia le scene, risultando prima un dolce sottofondo e poi, con crescita graduale, un componimento più rapido ed ostinato, per poi spegnersi nuovamente spesso in concomitanza con l’inizio della sequenza successiva. La presenza massiccia del pianoforte rende l’accompagnamento musicale essenziale e poco “pomposo”, in linea con la semplicità e la trasparenza del lungometraggio ed in linea con la stessa passione di Elio, continuamente impegnato nella trascrizione di pezzi.
L’argomento dell’omosessualità è stato trattato da numerosi registi negli ultimi anni; nel 2016 “Moonlight”, di Barry Jenkins, fece un’operazione per certi versi simile a quella del regista italiano, planando sui primi decenni di vita del protagonista con realismo e cercando di colpire il pubblico con dialoghi profondi e personaggi principali ben caratterizzati. Il peso emotivo della pellicola è notevole nonostante non ci si soffermi a lungo su scene di nudo (a differenza del comunque riuscitissimo “La vita di Adele” del 2013), facendo leva sull’esistenza difficile e turbolenta del personaggio principale.
Elio non ha una vita complicata, ed è forse su questo che Guadagnino costruisce una storia ammaliante.
I nostri misteri interiori, spesso, hanno bisogno di precise sollecitazioni per rivelarsi; affrontare i cambiamenti che avvengono in noi, o accettare ciò che era nascosto ma c’è sempre stato, è uno snodo fondamentale nella vita di un essere umano.
Non è utile sopprimere o ignorare il messaggio, ma cercare di capirlo; lo scontro interiore deve poi confrontarsi con il giudizio della società, ancora più intransigente e sordo di noi stessi.
La spontaneità con cui viene narrata la storia d’amore di Elio e Oliver è esattamente la stessa con cui dovremmo guardarla, superando il pregiudizio iniziale e cominciando a mettere in discussione il nostro concetto di normalità.
VOTO: 8.5
Articolo a cura di Vittorio Cecere