L’8 MARZO E IL MONDO IN GUERRA
Si prospettava un 8 marzo differente dagli ultimi due passati; proprio in procinto di una situazione che vedeva il mondo intero allontanarsi e debellare completamente il covid-19, nemesi virale del nostro secolo. Non sarà un articolo dove la svenevolezza prenderà il sopravvento. È un 8 marzo che veglia, soprattutto, su quelle Donne provenienti da Paesi straordinari, ma che vivono, stanno vivendo, o hanno vissuto la guerra a 360°.
Marie Curie, Mary Wollstonecraft, Virginia Woolf, Eva Perón ecc.
Nomi che rimarranno eterni nel quadro della cultura, nelle battaglie del femminismo, fra le prime spedizioni in mezzo alle stelle, tra i colori della moda, nei meandri del pensiero, in quelle ampolle che hanno rivoluzionato l’intera Scienza.
Menti che hanno caratterizzato e caratterizzeranno ogni vicolo del sapere.
Oggi, verranno presi in esame quattro nomi di Donne che vedono e hanno visto il loro Paese di provenienza in preda alle aberranti sevizie belliche, oscuranti loro bellezza, schiacciandone la cultura, surclassandone l’identità, opprimendo il loro valore. Ucraina, Medio Oriente, Africa, Afghanistan.
Il mondo intero si sta mobilitando per l’attacco di Putin nei confronti dell’Ucraina, avanzando calore e rispetto per quel che sta avvenendo. Eppure, una parte dell’opinione pubblica riesce a vangare terreni d’odio proclamando razzismo in maniera tanto estemporanea quanto visibilmente illogica nei confronti di guerre che da anni si sono sedimentate in alcuni luoghi del mondo intero al di fuori del nostro Occidente.
“L’Ucraina non è l’Iraq o l’Afghanistan, sono come noi”.
Come se l’orrore della guerra si affievolisse in base al luogo, e soprattutto, in base alle origini del popolo che subisce, combatte e in troppi case, muore.
Un processo di deturpazione identitaria che vede la “deumanizzazione” di intere popolazioni, il quale traina specularmente un altro processo, quello di “normalizzazione” della guerra in Paesi non occidentali.
“Ho visto, ovunque, la stessa schifezza, il macello di esseri umani. Ho visto la brutalità e la violenza, il godimento nell’uccidere un nemico indifeso”. (Gino Strada)
Julija Tymošenko, la giovanna d’Arco Ucraina
La prima premier donna dell’Ucraina nella storia del Paese; nata il 27 novembre 1960 a Dnipro, terza città più popolosa. Deputata del popolo dell’Ucraina, politica e imprenditrice, Julija Tymošenko non solo è leader dell’Unione Pan-Ucraina “Patria”. La storia del suo Paese ha assistito alla sua determinazione ritraendola come la Giovanna d’Arco ucraina. Fu la Rivoluzione Arancione il momento in cui, all’indomani delle elezioni politiche del 2004, Julija Tymošenko diede prova del suo vigore. La suddetta rivoluzione è parte del più ampio fenomeno delle “rivoluzioni colorate”, appellativo conferito sia dai media internazionali che dai soggetti coinvolti a una serie di movimenti ed eventi sviluppatosi in alcuni stati post-sovietici, prendendo vita negli anni 2000. Preludio la sua ascesa politica, Julija Tymošenko era già considerata l’alleata più insigne del capo Viktor Juščenko, ex Presidente ucraino e leader informale della coalizione di opposizione ucraina, sostenendolo, appunto, durante la campagna per le presidenziali del 2004, dove quest’ultimo ne uscì vincitore con il 52% contro il 44% del suo sfidante.
Sonia Delaunay, la donna ucraina che rivoluzionò l’arte
Colori luminosi e forme astratte, femminismo e innovazione: la figura di Sonia Delaunay si adorna in tal maniera.
Sonia Delaunay nasce a Odessa il 14 novembre 1885, città dove non sedimentò il suo talento. San Pietroburgo, Karlshruhe, Parigi. Tutte città dove si è formata prendendo ispirazione, in particolare, per la sua pittura e dove, nella città dell’amore, sposò il pittore Robert Delaunay, con cui fondò l’orfismo. Quest’ultimo rappresenta il movimento artistico che esprimeva il lirismo del colore nelle opere d’arte e si ispirava ai colori post impressionista quanto alla manipolazione cubista della forma. Guillame Apollinaire, poeta francese e buon amico dei Delaunay, definì il movimento ispirandosi a Orfeo, musicista e poeta della mitologia greca: l’Orfismo si basava sulla fluidità dell’astrazione e sull’idea della simultaneità – posizionando i colori uno accanto all’altro mostrandone il forte contrasto.
Parigi, infatti, fu infatti la città rivelatrice di tante sue opere, dipinte, altresì, ispirandosi alle fauste particolarità di Paul Gauguin e Vincent Van Gogh.
L’arte di Sonia Delaunay si afferma all’inizio del XX secolo, un’epoca caratterizzata da cambiamenti drammatici, instabilità e dall’avvento del moderno. Colori vibranti, contrasti dinamici e l’astrazione della forma: Delaunay, in maniera singolare, trascendeva abilmente la tradizionale definizione di “arte”, confondendo i confini tra arte e artigianato e inaugurando una nuova rappresentazione della concezione di donna moderna.
Ma è nel 1964 che l’arte di Sonia Delaunay raggiunge picchi senza eguali: Sonia è in quest’anno che si afferma come la prima donna a far parte di una retrospettiva al Louvre.
La sua eredità promuove un’attenzione manifesta per l’abolizione delle differenze di genere nell’arte e la sua abilità innovativa e visione creativa rispetto al mondo in cui viveva ha ridefinito il concetto stesso di “donna moderna”, tentando di rovesciare la disparità di genere in un mondo dominato principalmente dagli uomini.
Amina J. Mohammed
Vice-Segretaria Generale Nazioni Unite.
Nata il 27 giugno 1961 a Gombe, in Africa occidentale, Amina J. Mohammed ha frequentato la Capital School, Kaduna nel 1972 per il suo Primary Six Certificate e la Buchan School Isle of Manchester nel 1979. Ha inoltre frequentato l’Henley Management College nel 1989.
Mobilitatrice e abile e coordinatrice, Amina J. Mohammed è stata assistente speciale senior per i Millenium Development Goals tra il 2005 e il 2010. È stata, altresì, componente della Commissione per i diritti umani in Nigeria dal 2005 al 2007.
Gli step che contraddistinguono la sua carriera sono:
- Dal 2002 al 2005, Amina J. Mohammed ha coordinato la Task Force su Genere ed Educazione per il Progetto del Millennio delle Nazioni Unite,
- È stata consigliera speciale per la pianificazione dello sviluppo post-2015 con l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon,
- È stata Amministratrice Delegata e fondatrice del Think Tank Center for Development Policy Solutions,
- Ha lavorato come consulente senior per gli obiettivi di sviluppo del millennio (MDG) per tre diversi presidenti della Nigeria dal 2000 al 2014,
- Ha ricevuto il National Honors Award dell’OFR nel 2006 ed è stata inserita nella Nigerian Women’s Hall of Fame nel 2007.
Jacqueline Fatima Bocoum
Jacqueline Fatima Bocoum è un’ex giornalista africana, diventata scrittrice in Senegal, Paese di cui porta le origini, oltre che essere direttrice della società di media Com 7. In quanto giornalista, Jacqueline lavorò per R.T.S. e Sud FM prima di diventare “Direttrice del Programma” e “Direttrice dell’Informazione di Radio Nostalfie”. Figlia di un burocrate dell’ex-Presidente senegalese Léopold Sédar Senghor, Jacqueline, nonostante la sua innegabile ammirazione per il padre, pose attenzione critica sulla posizione amministrativa di suo padre definendolo un prodotto tipico della struttura politica prevalente in quei tempi, considerazione che riporta nella prefazione del suo primo romanzo.
Nomi di quattro donne provenienti da luoghi differenti.
Culture, background, esperienze di vita, settore lavorativo. Per ognuna differente.
Eppure, sembra che a caratterizzare il loro valore siano, ancora, le loro origini etniche, assieme ai colori della bandiera del Paese di origine da cui provengono, imbrattati dalla vergogna di un essere umano che nell’altro non rivede sé stesso.
“Viviamo in un ‘villaggio globale’ sconvolto dalle guerre, un pianeta, quello degli uomini, dove tra l’altro qualcuno ha seminato cento milioni di mine antiuomo. Decine di conflitti, milioni di morti. Con tutto il corollario di vergogne, vero arsenale della guerra: fame e malattie, miseria e odio, esecuzioni sommarie, vendette, attentati, stupri, pulizie etniche, torture, violenze. Terrorismo. E a scuola si studiano le battaglie, non la guerra. Né la pace”. (Gino Strada)
In Italia?
Se in questa giornata vigono parole veritiere e calzanti su cui inoltrarsi, corrispondono a quelle dell’avvocata Cathy Latorre, specializzata in diritto antidiscriminatorio con particolare riferimento alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, e ai diritti della comunità LGBTQIA+ e delle nuove tecnologie, la quale dirompe su Instagram scrivendo:
“Una donna su due non lavora. Le donne guadagnano in media un quinto in meno rispetto agli uomini. Dicono sia un problema di competenza: ma le donne si laureano in percentuale superiore rispetto agli uomini (12,2% in più). E una donna su quattro è sovraistruita rispetto al proprio impiego. Il tasso di occupazione medio per le madri di età compresa tra 20 e 49 anni con un bambino piccolo è del 65,4%. Per i padri è il 91,5%. Una donna su 2 nel corso della pandemia ha visto peggiorare la propria situazione economica, sia al Nord che al Centro e che al Sud. In questi due anni 3 donne su 10 non occupate con figli a causa del Covid hanno rinunciato a cercare lavoro.
Nel 2020 il 70% di chi ha perso il lavoro è donna. Su 10 dirigenti solo 1 è donna e 9 sono uomini. Solo un parlamentare su 3 è donna.
In tutta la storia della Repubblica italiana mai una donna Capa dello Stato o presidente del Consiglio.
Le donne giornaliste sono quasi la metà dell’intera categoria, ma solo al 20% di loro è concesso l’onore della prima pagina”.
Articolo a cura di Alessandro Bonetti