Slittamenti e ritardi nella consegna del vaccino anti-Covid: perchè non produrlo in Italia?
Il nostro Paese è il primo polo farmaceutico europeo: perché non dare via al confezionamento negli stabilimenti situati nella penisola?
Il carico di 470mila dosi di vaccino anti Covid atteso per oggi in Italia rischia di subire alcuni ritardi. Questa la notizia arrivata nella giornata di ieri dal Piemonte e dalla Liguria, le quali nelle scorse ore hanno ufficializzato lo slittamento delle consegne che aspettavano. Il motivo del ritardo? Il maltempo. Sembra infatti che le forti nevicate delle scorse ore abbiano causato dei ritardi nella consegna del vaccino e si teme che quest’ultimi possano riguardare l’intero lotto. Dopo il V-Day, il secondo carico era atteso in queste ore in tutte le regioni de Paese, ma Piemonte e Liguria hanno ufficializzato per prime lo slittamento. “Pfizer ha comunicato che a causa della tempesta di neve consegnerà a Milano il 30 mattina il carico dei nuovi vaccini” ha comunicato il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, “a causa di ragioni logistiche legate all’ondata di neve” hanno aggiunto le Regioni dopo una riunione in videoconferenza con Arcuri.
L’Italia è al primo posto in Europa per produzione farmaceutica. Dopo anni di inseguimento, il nostro Paese ha infatti superato la Germania grazie ad una produzione di 31,2 miliardi di euro contro i 30 dei tedeschi. Un primo posto influenzato dal boom dell’export, che ad oggi sfiora i 25 miliardi: la crescita della produzione negli ultimi 10 anni è stata infatti determinata al 100% dalle esportazioni. Nella classifica nazionale per export dei poli tecnologici di tutti i settori, i primi due sono farmaceutici, ovvero Lazio e Lombardia. Nello specifico, la città di Latina rappresenta una vera eccellenza in quanto ad esportazione e lo stabilimento sulla Nettunense delle Pfizer è il fiore all’occhiello del nostro territorio: come è possibile quindi che le dosi di vaccino necessarie al Paese vengano prodotte altrove? Perché la Pfizer sceglie di produrre solo a Puurs, in Belgio, nonostante ci siano opifici e stabilimenti già pronti qui e che invece non vengono utilizzati? Il colosso farmaceutico americano in Italia è presente con tre stabilimenti di produzione: quello di Aprilia, quello di Ascoli Piceno e quello di Catania; inoltre, i terzisti italiani sono primi in Europa nella produzione e nel confezionamento di prodotti farmaceutici. Considerato anche che le caratteristiche del siero e le bassissime temperature di conservazione (-75 gradi) che ne limitano la facilità di distribuzione, perché attendere un viaggio così lungo dal Belgio se il vaccino potrebbe essere confezionato qui?
In questo senso un barlume di speranza sembra essere rappresentato da AstraZeneca: già durante il periodo estivo, l’azienda biofarmaceutica britannica aveva prodotto materialmente il vaccino nello stabilimento Irbm di Pomezia. Per questo motivo per l’Italia sarebbe cruciale l’ok a quest’ultimo: il via libera darebbe infatti un vantaggio strategico al nostro Paese. “Il vettore virale è prodotto a Pomezia, nell’impianto Irbm – ha dichiarato il ministro Speranza a sostegno di questa tesi – l’infialamento avviene ad Anagni e la conservazione delle dosi non ha bisogno di temperature a 75 sotto zero. Vuol dire che per noi, sfruttando Pratica di Mare come hub, sarà tutto più semplice: produzione, distribuzione, conservazione. Le Regioni? Stavolta non hanno alibi, la gestione è centralizzata sul piano delle forniture, e per il resto gli abbiamo dato 15mila assunzioni in più tra il personale medico”.
Latina rappresenta il primo polo farmaceutico per esportazione in Europa: abbiamo un eccellenza, ma il farmaco Pfizer viene comunque prodotto a Puurs, in Belgio. Perché l’azienda farmaceutica statunitense non dà il via alla produzione anche nel nostro territorio, visto e considerato che l’Italia è un cliente privilegiato che ha ordinato milioni di dosi? Come è possibile che il Governo non avanzi una richiesta del genere nei confronti del colosso farmaceutico? Domande a cui tutti i cittadini vorrebbero una risposta: ne va della nostra salute e del nostro futuro.
Articolo a cura di Fabrizio Scarfò
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