Tra povertà e covid: ecco come stanno i millenials
I giovani trentenni italiani che si trovano in una condizione sociale peggiore di quella di partenza sono superiori a coloro che l’hanno migliorata. Ma, benché peggiorino nell’arco del tempo, le previsioni dei report più recenti sulla generazione dei millennials (i nati intorno agli anni ’80) si inseriscono nel solco delle rilevazioni già effettuate negli anni trascorsi.
Lo diceva il rapporto di Bankitalia del dicembre 2018: c’è un rallentamento della mobilità sociale, e le posizioni di un individuo sono fortemente condizionate da fattori quali il quartiere di provenienza, le scuole frequentate, i legami familiari e d’amicizia. E lo dice anche il rapporto annuale dell’Istat del luglio 2020: l’ascensore sociale è bloccato e l’ultima generazione considerata, i nati tra il 1972 e il 1995, sperimenta la riduzione del passaggio verso classi sociali superiori – la mobilità ascendente – e un contemporaneo aumento del tasso di mobilità discendente, dunque di coloro che regrediscono a condizioni sociali inferiori rispetto a quelle di partenza.
Per la prima volta, evidenzia l’Istat, sono in percentuale più i figli che rischiano una regressione rispetto allo status dei genitori (26,6%) di quanti avranno invece la possibilità di ascendere verso condizioni più favorevoli (24,9%). Un numero, quello dei mobili verso il basso, già superiore rispetto a tutte le precedenti generazioni.
La pandemia da covid-19 ha poi esacerbato queste dinamiche, innestandosi su un terreno già eroso da crescenti disuguaglianze e da forti contraccolpi economici che – dalla recessione del 2008 – hanno condizionato il mercato del lavoro in cui si affacciavano i giovani d’allora. Quei millennials che oggi si trovano a fare i conti con una nuova crisi, di cui, evidenzia l’Istat, faranno le spese soprattutto le classi più svantaggiate e gli stessi giovani precari.
Dove nascono le difficoltà dei millennials ?
Lo spartiacque della crisi del 2008 ha avuto un impatto rilevante sui millennials, che proprio allora si presentavano nel mondo del lavoro. Il rapporto pubblicato dal Cnel lo scorso dicembre ha infatti rilevato una diminuzione di 400mila occupati tra i 15 e i 24 anni dal 2008 al 2019, mentre 1,4 milioni di giovani adulti – dai 24 ai 34 anni – dopo la recessione non sono rientrati nel mercato del lavoro.
Quanto a occupazione giovanile, l’Italia è fanalino di coda in Europa, mentre è nostro il primato di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Su questo fronte, l’Italia primeggia nel ranking europeo con un 29,7% che diviene emblema – come evidenziano le elaborazioni sui dati Eurostat dell’Istituto Moressa – di un Paese tra i meno floridi in termini di opportunità per i propri giovani. E dove – continua l’osservatorio – il dibattito pubblico privilegia l’attribuzione dello stigma di bamboccioni e sdraiati a un’analisi dei problemi strutturali che si pongono alla base delle difficoltà dei millenials, sempre più spesso protagonisti di una fuga verso realtà in cui maggiori sono le possibilità di realizzazione personale e lavorativa. In Italia, infatti, le difficoltà riscontrate dalle giovani generazioni si riflettono, tra i vari ambiti, nella loro iniziativa imprenditoriale e nella drammatica condizione delle giovani famiglie.
Come il covid ha peggiorato la situazione
È su questo substrato che poggiano gli effetti del covid-19. Già durante il lockdown, era chiaro che tra i più funestati dagli effetti della pandemia ci sarebbero state le giovani leve, persa la possibilità di fare stage e di tentare l’ingresso nel mondo del lavoro. E, soprattutto, visti gli effetti del lockdown sui giovani lavoratori. In Italia, prima della fase 2, solo il 49,7% dei lavoratori under 24 e il 61% dei lavoratori tra 25-34 anni è rimasto occupato nei settori ancora attivi. Un dato che, se confrontato con le rilevazioni mensili provvisorie relative al mese di maggio (finito il lockdown) e diffuse dall’Istat, delinea la fisionomia dell’impatto delle misure di contrasto alla pandemia: rispetto al mese precedente, infatti, il tasso di disoccupazione tra i giovani compresi tra i 15 e i 24 anni ha riportato la crescita più sostenuta, assestandosi al 23,5%.
Non è un caso, dunque, che il sondaggio condotto dall’Istituto Toniolo durante la serrata abbia fatto registrare un certo scoramento dei giovani italiani, pessimisti sulle prospettive di ripresa post-pandemia. Ad aprile, molti tra gli intervistati hanno affermato di percepire un peggioramento della condizione lavorativa ed economica rispetto al passato. Effettivamente, a conti fatti, non avevano tutti i torti.
Articolo a cura di Marco Luppi